COSA RESTA DELLA POLITICA A GENOVA

COSA RESTA DELLA POLITICA A GENOVA

J’Accuse: il centrodestra ha bruciato Genova. E Pietro Piciocchi.

Genova, primavera 2025. Una città che avrebbe potuto continuare il suo percorso di trasformazione, sviluppo e stabilità amministrativa, si ritrova oggi a voltare pagina. Ma non per scelta, bensì per errore. O peggio: per incapacità, calcolo miope, cinismo partitico.
Il centrodestra ha perso Genova. E non perché mancassero progetti, competenze o un candidato credibile. Ma perché ha tradito se stesso, il proprio elettorato e la città.

🔥 Il candidato bruciato: Pietro Piciocchi

Pietro Piciocchi, vicesindaco operoso e competente, avrebbe potuto incarnare la continuità buona, il pragmatismo amministrativo, la sobrietà ligure. Invece è stato immolato sull’altare degli equilibri di partito, scelto tardi, sostenuto tiepidamente, lasciato solo in una campagna che sembrava più una resa programmata che una battaglia vera.

I leader nazionali, intenti a spartirsi candidature altrove, hanno delegato a Genova un candidato tecnico, senza garantirgli lo scudo politico necessario, senza difenderlo dalle faide locali e soprattutto senza galvanizzare un elettorato che si è sentito abbandonato, demotivato, persino preso in giro.

🪓 I soloni del centrodestra: assenti e colpevoli

Dov’erano i “big” del centrodestra? Perché Genova, terza città del Nord, è stata trattata come un municipio di secondo piano? Perché nessuno ha speso davvero parole, energie, presenza concreta per sostenere una coalizione che da anni governava con risultati tangibili?

I soloni dei partiti — chiusi nei palazzi romani, intenti a negoziare poltrone e posizionamenti — hanno lasciato Genova scoperta. Hanno permesso che l’immobilismo, le tensioni interne e il vuoto di leadership si trasformassero in disaffezione degli elettori. Così hanno vinto gli altri. O, meglio: così ha perso il centrodestra.

⚠️ Un suicidio politico, non una sconfitta

Questa non è una normale sconfitta elettorale. È un suicidio politico. Il centrodestra non ha perso perché è stato battuto. Ha perso perché ha rinunciato a combattere. Ha perso perché ha confuso la gestione amministrativa con la visione politica, ha sostituito il confronto con il compromesso sterile, ha preferito la neutralità all’entusiasmo.

Genova non perdona. Genova è concreta, ma non passiva. Non vota per inerzia. E stavolta ha voltato le spalle a chi le ha voltato le spalle.

🧭 Cosa resta

Resta il rimpianto per ciò che poteva essere. Resta l’amarezza di una classe dirigente che ha bruciato un buon candidato, un progetto credibile, e cinque anni di amministrazione vissuti — pur tra errori — con serietà. Resta il sospetto che Genova sia stata sacrificata in nome di logiche nazionali. E resta, soprattutto, la lezione: chi non ascolta i territori, chi non combatte le sue battaglie, chi non crede nei suoi uomini… perde. E merita di perdere.

red.